Si chiama TETI, acronimo di Integrated technologies for the sustainable management of the underwater cultural heritage (Tecnologie integrate per la gestione sostenibile dell’eredità culturale sottomarina) ed è un progetto sviluppato in sinergia dai Politecnici di Milano e Torino, l'ambizioso obiettivo è quello di ideare un sistema efficace per preservare dalla corrosione le ricchezze archeologiche subacquee dei nostri mari.
Campo di sperimentazione della squadra di ricercatori sono stati i fondali di Filicudi, dove giacciono numerosi i reperti archeologici, i più antichi risalenti a secoli prima di Cristo, qui le diverse professionalità del team, formato di esperti in elettronica e telecomunicazione, scienze dei materiali, architettura, restauro e ingegneria ambientale, si sono unite per affrontare e risolvere le diverse problematiche che si incotrano in un sito archeologico subacqueo.
In presenza di reperti subacquei è necessario infatti garantire la conservazione del sito, ma anche permetterne la fruibilità da parte dei subacquei e proteggerlo dai malintenzionati attraverso opportuni sistemi di monitoraggio.
Il team ha così unito le forze realizzando un sistema integrato che permette l’esplorazione del sito, per raggiungere l’obiettivo è stato realizzato un sistema di idrofoni che avvertono i subacquei nel caso si allontanino dal percorso e, come ulteriore guida, è stato progettato un percorso illuminato da cavi in fibra ottica che può essere alimentato da pannelli fotovoltaici così come dall’energia del moto ondoso.
Per consentire poi la preservazione dei reperti sono stati progettati degli inibitori di corrosione da impiegare per la conservazione del bronzo con cui sono realizzati oggetti di pregio e per la conservazione sul posto di legno, pietra e metallo si è pensato di utilizzare alluminio o magnesio anodizzato sulla superficie degli oggetti. Al fine di proteggere il sito dai malintenzionati, è stato elaborato un sistema di idrofoni basato su segnali ad ultrasuoni elaborati dal rumore ambientali prodotto dalle bolle dei respiratori subacquei.
Per ora il lavoro del gruppo di studio rimane sulla carta, ma tutti coloro che hanno contribuito a questo progetto sperano che il progetto possa trovare applicazione in un non lontano futuro, ha dichiarato infatti Sabrina Grassi, uno dei tutor del progetto e docente di scienza dei materiali «Perché si passi a una dimensione applicativa è necessario che ci siano finanziamenti e che siano rilasciate autorizzazioni. Saremmo contenti di poterlo mettere in atto ma, in ogni caso, potrà essere la base di partenza per la presentazione di ulteriori progetti didattici e di ricerca».