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Più del 70% del nostro pianeta è ricoperto dall’acqua, gli oceani raggiungono profondità superiori ai 3.000 metri e ospitano forme di vita ed ecosistemi a noi ancora sconosciuti ma tuttavia le attività dell’uomo sono comunque in grado di influire negativamente anche sugli abitanti delle profondità più remote.

Queste sono le conclusioni alle quali è giunto uno studio internazionale condotto in occasione dell’ultimo censimento marino: 20 esperti hanno svolto l’analisi degli impatti antropici che interessano gli habitat delle profondità marine su tutto il pianeta individuando le zone più a rischio nel breve e medio termine.

Secondo lo studio, pubblicato sulla rivista PloS ONE, le catene montuose sottomarine, insieme ai coralli delle acque fredde e temperate, sono gli habitat che corrono maggiormente il rischio di essere colpiti dagli effetti dell’antropizzazione mentre le attività che più influiscono negativamente sono la pesca di profondità, il cambiamento climatico e la conseguente acidificazione degli oceani insieme all’accumulo di rifiuti e sostanze chimiche inquinanti.

Le attività umane maggiormente in grado di danneggiare gli habitat sottomarini sono risultate quelle legate alle attività estrattive nei pressi delle bocche idrotermali e nelle pianure abissali.